Page 98 - Corti di carta
P. 98

Lei si girò di scatto e sorrise, gli occhi maliziosi avevano formato
            due fessure.
               «Oh! Chi si vede mai! Il principe di Danimarca! Amleto, vuoi
            degnarci finalmente della tua compagnia, o preferisci un colloquio
            col teschio?».
               E rideva, apertamente, questa volta. I denti bianchi e un po’
            irregolari.
               «Ettore, mi chiamo Ettore. Ma tu sei tutto fuorché Ofelia. So che
            vi   siete   divertiti,   l’altra   sera.   Naturalmente   se   ci   fossi   stato   io,
            sarebbe stata tutt’altra cosa».
               Cercò di buttarla sul ridere, e nello stesso tempo scrutava la sua
            interlocutrice. Notò una fossetta sul mento, una fronte sufficiente-
            mente spaziosa, le orecchie piccole e rotonde. Ma gli occhi! Non
            stavano fermi un attimo! Giravano qua e là incessantemente, senza
            soffermarsi su un punto in particolare.
               Ettore provava una certa diffidenza nei confronti di chi non ti
            guarda negli occhi o di chi ti porge la mano molliccia e sudata. La
            sua indole naturalmente leale e schietta, seppure riservata, gli faceva
            preferire i rapporti semplici e sinceri.
               Continuarono su questo tono per un po’, ma giunti allo svolto
            della   piazza,   si   salutarono   e   presero   strade   diverse.   Oramai   il
            ghiaccio era rotto.


               I giorni che seguirono furono di studio intensissimo: pochissimo
            tempo per addentare frettolosamente un panino, scendere a comprare
            qualcosa, prendere un po’ d’aria e poi rituffarsi in estenuanti eserci-
            tazioni, alla ricerca della perfezione.
               L’impegno costante impediva ad Ettore di pensare a qualsiasi
            cosa, congelava le sensazioni e differiva i bisogni.
               L’unico conforto serale, un CD sempre diverso, che lo rilassava e
            gli conciliava il sonno. Questa sera era la volta di Mahler, sinfonia
            n.5.
               Il mese di gennaio trascorse così, in un’affannosa rincorsa. A
            volte la sua mente riusciva a staccarsi da ciò che era così urgente, ed
            in questi momenti aveva l’impressione di cogliere con lucidità ciò
            che stava facendo e ciò che invece avrebbe potuto fare, se gli eventi
            avessero preso un corso diverso.
               Come un malato in coma si vede dall’alto, steso sul letto, con


                                          96
   93   94   95   96   97   98   99   100   101   102   103