Illustrazione di Riccardo Mannelli
Giovanni Fattori - "Garibaldi a Palermo"
Palermo, 28 maggio 1860

"Cuginetta carissima,
non posso fare a meno di raccontarti quanto è avvenuto in questi giorni, nella nostra bella città, perché sono sicura che anche tu saresti contenta di sapere Lui, l'eroe di oltreoceano, biondo come il Nazareno è stato qui, nel nostro convento, a salutarci e ricevere l'augurio di continuare e di portare a compimento l'impresa che con tanto successo ha già iniziato. Sì, proprio Lui! Garibaldi in persona, ha voluto onorare noi monache della sua presenza!  Il suo arrivo era stato annunciato da un tripudio festante di popolo venuto ad acclamarlo. Avresti dovuto vedere, mia cara Elenuccia, quante coccarde tricolori, che festa, con la banda che suonava... Soltanto per Santa Rosalia si vede tanta gente per strada! Noi, povere monache, appollaiate dietro le inferriate che davano sulla piazza, con gli occhi sgranati vedevamo il corteo militare avanzare, e pensavamo che sarebbe finito tutto lì, ma invece... cominciava tutto, giacchè la Madre Superora c'invitò in fretta a recarci nella sala del ricevimento, a dare un caloroso saluto al Nostro... "

Elena Speciale Di Belmonte dispiegò il foglio che le era stato recapitato da poco, mentre, sola nell'ampia stanza da pranzo di casa sua, si accingeva a fare colazione. Un nuovo giorno di fine maggio entrava prepotentemente dai finestroni appena socchiusi, con l'odore del glicine appena in boccio non ancora appesantito e guastato dai calori della stagione avanzata.
Fuori, i rumori delle prime carrozze; la città cominciava a svegliarsi dopo un sonno leggero e promettente.
Gli avvenimenti che avevano cominciato a dipanarsi nell'altra parte dell'isola erano rimbalzati fino alla città etnea suscitando aspettative ed accese discussioni, di cui il salotto di casa Belmonte era stato spesso teatro.
Elena appiattì il foglio sul tavolo, noncurante degli schizzi che il latte caldo, smosso dal brusco movimento della mano, aveva prodotto sulla tovaglia. Cercò di mettere al riparo lo scritto che i suoi occhi scorrevano avidamente.
Assunta...quanto la invidiava! Quanto avrebbe voluto essere al suo posto, a godere di quel momento che - di questo ne era certa - non avrebbe tardato a passare dagli avvenimenti comuni, di tutti i giorni, a qualcosa che è consegnato alla storia per sempre.

"...Le mie consorelle sembravano impazzite: alcune di esse, ed io ho letto le missive, hanno consegnato all'Eroe dei due mondi alcune letterine indirizzate. A te, eroe e cavaliere come san Giorgio, bello e dolce come un serafino, le nostre monache t'amano teneramente. Una di loro gli ha preso la mano per baciargliela; egli la ritrasse, ed ella, abbracciandolo vivamente, gli ha deposto un bacio sulla bocca..."

Caterina strisciò lentamente lungo il lato sinistro dell'ampia sala da pranzo, che il padre di Elena, marchese di Belmonte, aveva voluto in perfetto stile barocco, un po' appesantito, a dire il vero, da contorcimenti e volute di fiori e frutti scolpiti nella noce scura del legno.
"Signorina Elena..."  la voce era incerta, esitante, e comunicava un po' di imbarazzo "c'è di là suo zio, che chiede di vederla...non so, mi dica lei cosa devo fare...".
Elena, all'annuncio, con movimento repentino della mano, aveva abbandonato il foglio e s'era alzata di scatto, confermando la sua precisa volontà di vedere lo zio.
Da sempre, da quando, appena undicenne la primogenita di casa Belmonte aveva cominciato a ragionare con una testa niente male per una ragazzina della sua età, lo zio Martino era diventato per lei un mito assoluto; una persona da amare ed ammirare incondizionatamente, i cui racconti sulle fasi più importanti della rivoluzione del 1848 erano rimasti saldamente impressi dentro di lei.
Ricordava come fosse ieri quel fervore di iniziative che avevano accompagnato i fatti che, rimbalzando qua e là nelle varie parti d'Europa, non avevano trascurato la Sicilia, ed in particolare la città etnea in cui l'azione rivoluzionaria si era dispiegata con forza.
Troppo piccola ed ignara per seguire appieno lo svolgersi degli avvenimenti cui avevano partecipato moltissimi catanesi illustri e risoluti tra cui Pietro Marrano, Giuseppe Di Felice, Carmelo Chines, Antonio Longobardo... (questi ultimi due assidui frequentatori di casa Belmonte), ricordava invece perfettamente l'affannoso andirivieni delle amiche della madre per raccogliere denaro da destinare alla causa rivoluzionaria.
E non avrebbe potuto dimenticare la serata al Teatro Comunale alla Marina, dove si rappresentava l'Ernani e dove era stata - per premio - portata per mano da suo padre. Aveva gli occhi ancora pieni dei numerosi festoni tricolori, dell'eccezionale illuminazione di circa trecento grossi ceri, dell'animazione delle signore adorne anch'esse di sciarpe tricolori; della pioggia di fiori, di corone, di nastri, di fogli con componimenti poetici che cadevano giù dai loggioni; delle grida di "Evviva" che portavano l'entusiasmo al più alto grado.
Aveva cantato anche lei l'inno a Pio IX, ripetuto a ritmo da tutto il pubblico. E tutte le volte che i cavalieri della scena traevano fuori le spade per l'azione che rappresentavano, anche le spade venivano sguainate e brandite a suon di musica, perfino dalle signore...
Lo zio Martino si era contraddistinto per aver contribuito a preparare l'insurrezione e per questo era stato dichiarato "benemerito della patria" dal Comitato rivoluzionario. Data la sua giovane età e l'indole modesta non aveva ricoperto posti di comando, ma aveva collaborato a pubblicazioni di carattere rivoluzionario.
Poi i liberali erano stati sconfitti e la repressione aveva cancellato tutto, ma non gli ideali che erano profondamente radicati nei loro animi: nel decennio che precedette la spedizione dei Mille zio Martino Speciale aveva intensificato la sua azione di cospiratore rivoluzionario tenendosi in contatto con molti mazziniani che operavano a Malta e con molti esuli siciliani in varie parti d'Italia.
Elena aveva completato la sua educazione e per la sua istruzione si era avvalsa della preziosa consulenza dello zio che le procurava numerosi testi e fogli di ispirazione mazziniana.
Un abbraccio intenso e prolungato fu in grado di comunicare quello che le parole, rimaste in gola per la troppa emozione, stentavano ad esprimere.
"Hai saputo?" "Sì, zio, mi hanno riferito del tuo discorso di Mascalucia... so dell'entusiasmo che ha suscitato. Adesso il tricolore sventolerà dovunque, senza timore di essere più abbattuto dagli oppositori..." Ed il mento volitivo proteso in avanti, i begli occhi scuri fiammeggianti furono per lo zio un'ulteriore conferma del sincero ardore rivoluzionario della nipote.
"Sono sfuggito da poco all'arresto della polizia, che non temo più, perché tanti amici mi proteggono e aspettano un nostro cenno per scendere giù a Catania da vari paesi e, sotto il comando del generale Poulet, riusciremo a strappare la città ai Borboni..."
Queste ultime parole furono pronunciate con grande veemenza, ma destarono una grande preoccupazione in Elena.
Per un attimo pensò ai grandi pericoli che correva lo zio, pericoli che non aveva mai considerato come reali, ma che in quel momento incombevano come unombra sinistra e preoccupante sull'intera vicenda. Ma fu solo un attimo e la giovane riuscì a ricacciare i suoi timori, mostrando il suo turbamento solo in un lieve aggrottare di sopracciglia. Non era il momento di dare corpo alle paure.
"Senti, Elena..."
La ragazza pendeva dalle sue labbra.
Lo zio aveva consegnato ad Elena una missiva da recapitare allindirizzo vergato sulla busta con la grafia un po' contorta ed appuntita. Le raccomandò di essere molto guardinga e attenta per non destare sospetti. L'abbracciò ancora una volta raccomandandole prudenza, augurando alla causa rivoluzionaria la stessa fortuna che ormai era lecito sperare per la piega che avevano preso gli avvenimenti.

L'indomani mattina Elena percorreva velocemente quelle strade e quei luoghi che avrebbero fatto da sfondo agli avvenimenti che si sarebbero svolti di lì a poco: dalla piazza san Placido per via del Corso, si portò verso la via Ferdinandea e qui subito su per piazza Mazzini fino a raggiungere la via Crociferi.
Suonò al portone e attese con impazienza che le venisse aperto.
La gente cominciava ad uscire: sembrava che col tepore primaverile, di una primavera avanzata e avvolgente come quelle che la città etnea dispensa ai suoi abitanti, venissero fuori anche anche gli umori ardenti e appassionati a lungo repressi.
Ad Elena sembrò di percepire un fermento, un lavorio inusuale tra i passanti frettolosi e le ruote delle carrozze che non aveva mai percepito prima d'ora.  C'era anche un inconsueto dispiegamento di forze di polizia. La ragazza camminava a testa bassa. Al sevitore che era sceso ad aprirle il portone, consegnò la missiva ed attese la risposta che le venne consegnata di lì a breve. L'avrebbe fatta pervenire allo zio al più presto.


Catania 7 giugno 1860

"Assunta cara,
ho ancora le orecchie e gli occhi pieni di ciò che pochi giorni fa è accaduto a Catania: anche la nostra città ha partecipato attivamente a quanto è iniziato da voi, anche qui ci sono stati molti giovani valorosi che hanno fatto onore al proprio credo, combattendo con coraggio e determinazione.
So con esattezza quanto dico perché ho appreso dalla viva voce di mio zio tutti i particolari, avendoli lui vissuti in prima persona.
La rivolta è cominciata all'alba del 31 maggio: le campane delle chiese del Borgo hanno suonato a distesa, e vi hanno fatto eco quelle della chiesa del Carmine. I borbonici, comandati dal Clary avevano già fatto innalzare le barricate sulla via del Corso, in piazza san Francesco, in piazza san Placido, oltre che al Duomo e all'Università.
Gli insorti, adunati a Mascalucia, sono scesi in città e al Borgo si sono sparate le prime fucilate, mentre sui balconi sono comparsi i primi tricolori. I borbonici, costretti a fuggire, si sono rinserrati a piazza Università dove si è accesa una lotta accanita.
Ho ancora nelle orecchie - cuginetta mia - l'eco dei colpi di mortaio e di cannone. Come tu sai la nostra casa è ai Quattro Cantoni, non lontana da questi luoghi.
Si è combattuto in via Stesicorea, nella via Mancini e nella strada degli Schioppettieri.
Pare che in questi combattimenti si sia distinta una popolana che ha comandato un gruppo di insorti di portare un cannone alle spalle del palazzo Tornabene, nel piano dell'Ogninella, e da lì, sparando sui Borboni li ha costretti alla fuga, appropriandosi anche del loro cannone abbandonato sul percorso.
Il combattimento è infuriato fino a mezzogiorno, ma senza l'esito sperato.
Clary è riuscito a reprimere la rivolta e, con le divisioni scacciate dai garibaldini in altri centri dell'isola, ha sfogato sulla nostra città l'odio e la rabbia.
Ma per poco tempo, perché giorno 3, improvvisamente, i borbonici hanno ricevuto l'ordine di sgomberare e finalmente su tutte le torri, dal castello Ursino al castello di Aci, dal campanile del Duomo ai balconi dei palazzi di città, è tutto uno sventolio di bandiere tricolori.
Ho temuto mia cara, ho temuto che tutti gli sforzi dei nostri giovani andassero dispersi, ma no, ormai la sorte gira a nostro favore ed un radioso avvenire si prepara per la nostra isola..."

L'estate era scoppiata in tutta la sua appiccicosa avvolgenza quando il grosso dell'esercito garibaldino entrò a Catania, il 27 luglio 1860.
La cittadinanza tutta s'era riversata in alcuni punti nevralgici della città fin dalle prime luci dell'alba, ed anche Elena non aveva voluto mancare all'appuntamento, appuntandosi la coccarda tricolore che nessuno, mai più, avrebbe potuto strapparle dal petto con arroganza. Lo scalpiccio dei cavalli copriva e si mescolava al vocio, al suono delle fanfare e al rullo dei tamburi che accompagnavano l'incedere un po' scomposto delle camicie rosse. Le guidavano Nino Bixio e Menotti Garibaldi, tra un uragano di applausi.
Elena e sua cugina seguirono la colonna fino al punto in cui avrebbe trovato alloggio: a san Nicola, ed il convento fu ridotto ad una piazza darmi, tra fucili, rastrelliere, baionette...
Ma invano la nostra appassionata e tanti altri attesero l'arrivo dell'artefice dell'impresa, dal momento che Garibaldi non si fermò, quella volta, nella città etnea, dovendo proseguire il suo percorso fino a Napoli.

"Garibaldi, ove sei? Qui dove or ora
Lampeggiò la tua fronte e la tua spada,
Dove lanima tua palpita ancora,
Viver sì attenta una sì real masnada?" *



*da Atlantide di Mario Rapisardi
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