…ma che cosa succede?
Lei rimane ferma, immobile
nella sua posizione…
Lui la guarda, la chiama...
    “Muoio, sì, adesso muoio e finisce tutto…” Si sente presa in un gorgo, avviluppata in una trappola
lacerante. Non riesce a vederne la fine.
    Strofina un poco con la mano lo specchio davanti a lei. Si vede, allora. È pallida, le occhiaie le
contornano gli occhi infossati.
    Accenna un sorriso, si mordicchia le labbra, si pizzica le guance per darsi colore.
    È di scena tra poco. Tra poco fingerà di recitare quello che è il dramma della sua esistenza, la sua
vera vita e non un copione passato chissà tra quante mani…
    I pensieri sono confusi, indistinti, imbrogliati come una matassa. Si guarda le mani: sono pallide,
venate di blu, con minuscole macchie brune.
    Una volta erano bianche e morbide. Sapevano di sapone, di strette vigorose e sincere, di piccoli
affari domestici.
    Qualcuno bussa alla porta, ripetutamente. Una voce nota le ricorda che non manca molto. Si
ricompone, schiarisce la voce. Deve finire di prepararsi.
    Si aggiusta i capelli, lunghi, bruni, divisi in due bande simmetriche e arrotolati dietro la nuca. Si
appunta un fiore, sul lato sinistro. Deve essere bella per lui: è l’ultimo appuntamento, forse.
    Il vestito è pesante, pieno di sottogonne, ma nella parte superiore lascia scoperte le spalle che
vengono fuori aguzze. Un colpo di tosse, poi un altro. Così naturale da sembrare vero. Il petto è
scosso, un brivido le percorre la schiena, la fronte le brucia, gli occhi sono lucidi.
    Prende allora una boccetta sulla mensola, versa delle gocce, beve il liquido.
    Si ricompone: accenna un sorriso, un gesto d’intesa tra lei e lo specchio, unico, muto testimone
dei suoi affanni.
    C’è ancora tempo. Chissà se verrà…Se non dovesse venire…Prende carta e penna. Fa fatica a
scrivere. Le mani le tremano un poco.
    Ripiega il foglio, lo mette nella busta, lo lascia da qualche parte. È stanca, affranta. Si stende un
po’ sul divano, i piedi sulla sedia, le spalle appoggiate sui cuscini, la mano sotto il mento. Rivive uno
per uno tutti i momenti passati accanto a lui, come in un vecchio film muto.
    Si vede così com’è ancora: alta, sottile nella persona. L’espressione è ridente. Non è sola: c’è
un’amica accanto a lei, nel palco dell’Opera. Insieme parlano e guardano con occhi curiosi la gente
sottostante, con cenni d’intesa fanno dei commenti.
    Entra qualcuno, dopo avere bussato. Entra lui, insieme con un amico che le conosce e gliele
presenta. È alto, biondo, elegante e languido.
    Le sfiora con le labbra la mano guantata. Guarda senza parlare, è timido e imbarazzato. Alle
battute di lei arrossisce e sembra irritarsi: ha l’impressione che le due donne si prendano gioco di lui.
Si allontana irritato.
    Si rincontrano a casa di lei, qualche tempo dopo, a cena con amici comuni.
    Non è difficile capire quello che avverrà di lì a poco: gli sguardi sono complici, il desiderio di stare
da soli è forte.
    Comincia così un’altalena di ardori e furori, di allontanamenti e ripicche. Lei non nasconde, ma
anzi difende la sua condizione. Non potrebbe fare una vita così dispendiosa se qualcuno non la
mantenesse. Lui accetta, ma è geloso, terribilmente geloso. Vorrebbe abbandonarla, ma lei è così
bella…
    E poi vorrebbe difenderla da se stessa, proteggerla dai suoi mali, lei che soffre tanto…
    Passano i mesi: lei rifiorisce, vivendogli accanto. Riscopre il gusto delle cose semplici, del contatto
con la natura in campagna. È però malinconica, irrequieta. Forse perché sa che la loro storia non
può durare, che il loro amore è destinato a soccombere all’urto degli eventi?
    Grosse nuvolaglie nere, infatti, si addensano sul loro rapporto: il padre di lui preme affinchè la
lasci, non vorrebbe vederlo rovinato.
    Lo lascia, alla fine, senza dirgli niente, nella convinzione che ha un altro. Lui la odia, la disprezza,
si sente annientato: non sa del suo sacrificio.
    È ancora più sottile, quasi evanescente. Il male la consuma.
    È proprio ora di andare, adesso. La rappresenterà sul palcoscenico questa morte annunciata fin
dal primo atto, scena seconda.
    Il teatro è pieno di un pubblico attento ed esigente. Si aspetta da tempo la performance della
famosa attrice assente da tempo sul palcoscenico.
    Alcune voci parlano di uso di sostanze improprie, di una clinica per disturbi mentali, di un amore
finito male.
    Un brivido percorre la platea quando, pallidissima e bellissima, entra nella scena. Il dramma
sembra scritto apposta per lei: riesce a dare accenti di verità anche alle battute più trite, più scontate.
    “Magnifica! Hai visto che interpretazione?”
    “Struggente, davvero...e poi così naturale, così vera…”
    “S’immedesima così tanto che sembra stia vivendo davvero quel dramma…Ma sarà poi vero
quello che si dice in giro?”
    I commenti s’incrociano durante l’intervallo, rimbalzano da bocca in bocca, si innalzano fino al
soffitto finemente decorato.
    Lei è nel suo letto, ora. La scena finale. Lui è al suo capezzale, prima di raccogliere tra le sue
braccia l’ultimo respiro. Una luce obliqua accarezza i due personaggi.
    Il pubblico è attentissimo, pronto a cogliere le battute conclusive.
    Qualche signora più sensibile si asciuga furtivamente gli occhi con un angolo del fazzoletto.
    È finita, adesso: lei muore, lui piange, disperato, sussurrando il suo nome, invocandola per l’ultima
volta. Il sipario si chiude, lentamente.
    Il pubblico applaude, forsennatamente. Si sente qualche “Brava!!” “Bravi!!”
    Ma che cosa succede? Lei rimane ferma, immobile nella sua posizione…Lui la guarda, la chiama.
C’è qualcosa di strano. Il sipario si richiude. Un brusio, un chicchierio, sempre più alto dilaga, si
allarga, prende tutta intera la platea e la tribuna…
    Poi dopo un po’ di tempo, esce qualcuno che con voce rotta dall’emozione, legge un foglietto:
    “Siamo spiacenti di comunicare che pochi minuti fa, improvvisamente, la signora E… D… è stata
colta da un malore che non lascia molte speranze per la sua vita. Un medico è stato
tempestivamente chiamato ed ha subito prestato le cure necessarie. Daremo ulteriori informazioni
tramite stampa. Vi preghiamo di scusarci per il doloroso inconveniente”   


       L’ULTIMA RECITA DI UN’ULTIMA DIVA E... D... MUORE SUL PALCOSCENICO

È accaduto la scorsa sera, al teatro OLYMPIA. La grande attrice, sorprendendo tutti, muore proprio
sul finale della recita, identificandosi totalmente con la protagonista. Si procederà all’esame
necroscopico.

Roma,15 Settembre 1912. Stupore, sgomento e sbigottimento generale sono i sentimenti che ha
suscitato ieri la morte di E…D…avvenuta a teatro alla mezzanotte circa. La realtà supera la fantasia,
è il caso di dirlo.
Si era giunti alle battute finali del dramma “La signora dalle camelie” quando cioè la protagonista
esala l’ultimo respiro e muore tra le braccia di Armando…e (?) muore davvero!! S’era già chiuso il
sipario e i due protagonisti sono pronti a ricevere l’applauso trionfante del pubblico, ma accade
qualcosa di anomalo, come ci racconta E… S… “Prendo la mano di E. per aiutarla ad alzarsi dal
letto e ringraziare il pubblico, ma avverto qualcosa di strano: la mano si abbandona inerte, la chiamo,
la sollecito ad alzarsi, ma non risponde!!! Chiedo subito aiuto. Arriva un medico…che non può che
constatare l’avvenuto decesso…Il resto è noto”
Inutile dire quale grave perdita costituisca per il teatro italiano la perdita di E…D…! l’attrice era stata
per lungo tempo assente dalle scene e questo doveva rappresentare il suo trionfale ritorno. Sono in
atto delle indagini accurate per accertare la causa della morte. Nei prossimi giorni si procederà
all’autopsia. Pare che sia stata trovata, nel camerino dell’attrice, una lettera che potrebbe far luce sul
mistero e di cui vi riveleremo il contenuto.

Quando leggerai questa lettera sarà tutto finito e le mie parole saranno solo un vago ricordo, il vago
ricordo agitato da un fantasma che si perde nella memoria…
Avevo preparato accuratamente il mio ritorno. Puoi immaginare quanta ansia, quante aspettative io
riponevo in questo rientro. Il teatro è tutto per me: fa parte della mia vita, è la mia vita stessa. 
Tu stesso eri parte della mia vita, al di là di ogni immaginazione…
Ma non l’hai capito: hai continuato a fare come se nulla fosse, come se io fossi un oggetto posato lì,
sul palcoscenico, e non un essere di carne e sangue.
Non hai capito le mie veglie affannose, intenta a leggere il copione, cercando di memorizzare ogni
battuta, ogni accento della protagonista. Non hai capito lo sforzo che la mia povera memoria
compiva dopo essere stata assente per tanto tempo.
Ma tu eri lì, implacabile e imperturbabile: pronto a dirigere e correggere, senza nessuna pietà, senza
nessun rispetto per la mia arte, massacrandomi con critiche e dinieghi. Non hai capito che alla fine io
ero Margherita, io sono diventata Margherita in tutto e per tutto!
Se il pubblico avrà applaudito questa sera, se le critiche sui giornali mi saranno benevole, sarà tutto
merito mio, della mia sublime arte che non conosce interruzione o impedimento alcuno, nemmeno
da parte di un’arrogante regista che ha calpestato con fredda insipienza e crudele determinazione la
mia ineguagliabile performance!!!
Niente e nessuno ti danno il diritto di trattarmi così, neanche i trascorsi rapporti tra noi, rapporti che
non ti autorizzano in alcun modo ad abusare così della pazienza di una così grande attrice!
E così, per dimostrarti la totale identità tra me e il personaggio che rappresento, ho deciso di
concludere in bellezza il mio trionfale ritorno sulle scene.
Troverete una boccettina sulla mensola del mio camerino: essa contiene un potente veleno ad effetto
ritardato, datomi da una chiromante in una delle mie numerose tournee. Io assumerò, prima
dell’ultimo atto, un certo numero di gocce che - ho calcolato - faranno effetto solo tre quarti d’ora
dopo, cioè alla fine del terzo atto, appunto.
Morirò davvero, dunque, come Margherita, come solo una grande attrice sa fare, in un tripudio di
applausi e di lagrime – vere –. Il mio ritorno sulle scene sarà dunque davvero “m e m o r a
b i l e”.
                                                                                                                                                 E…D…”
powered by Guido Scuderi
disegno di R. Di Salvatore