“50,51, 52,53…” Emma continuava a contare i passi che la separavano da casa. Aveva escogitato questo sistema per abbreviare le distanze, per riempire il tempo del tragitto con la cadenza rassicurante della ripetizione. All’angolo, l’edicola. In fondo, un po’ più a sinistra, l’insegna del panificio.
Aprì la porta: finalmente era a casa; indugiò un po’ prima di accendere la luce. Le piaceva ritrovare le sue cose a poco a poco: riconoscere l’odore misto di cera e di rinchiuso, il ticchettio dell’orologio, la trasparenza delle tendine sui vetri appena socchiusi…Ne aveva, di tempo.
    Si guardò allo specchio con un po’ di compiacimento che non escludeva, però il senso della critica più e più volte esercitata. Si piacque e - del resto - chi avrebbe potuto contraddirla nel fare e disfare, nella ragnatela di domande e risposte, nell’inevitabile avvitarsi della sua esistenza?
    Sì, gli avrebbe scritto. Domani, forse, non subito, oppure…
    Il suo cervello si rifiutava di eseguire questa operazione, al momento.
    Emma scosse i capelli e li toccò, come era solita fare, arrotolandosene una ciocca tra le dita.
    Tutt’intorno s’era diffuso il lieve tepore dei termosifoni; in lontananza una musica le ricordò l’ultimo CD che aveva comprato. Domani, forse domani gli avrebbe scritto…
    Non le veniva niente, niente che le piacesse; le parole si aggrovigliavano senza riuscire a venire fuori. O troppo banali o troppo insulse e pretenziose. E poi era la prima volta che rispondeva ad una persona sconosciuta, conosciuta soltanto attraverso il computer.
    Che bella invenzione! Scoprirsi appena un po’e poi ritrarsi, al momento opportuno, quando il gioco si faceva troppo scoperto, quando era il momento di dire la verità vera, quando nessuna frase bastava più a tenere in mano il filo delle convenzioni e delle convenienze.
    Suonò il telefono.
    “Ciao, come va? Sono Cristina. Ti va di fare due passi?”
    L’idea di uscire le piacque; dopo un ultimo Canc spense il PC e si tuffò nella città.
    Due cose le piacevano di Cristina: quel modo libero, sincero di parlare e la sua capacità di indovinare, quasi sempre, i suoi stati d’animo.
    C’era tutt’intorno un’aria sospesa e brumosa. Poche macchine, stranamente. Il cielo color acciaio.  Strisce bianche di nuvole. Goccioline lattiginose, quasi opalescenti, sull’asfalto.
    Era l’atmosfera ideale per le confidenze: davanti a una tazza di tè, in un pomeriggio d’inverno.
    “Che hai? non mi sembri giusta”. L’osservazione fece sorridere Emma.
    “Non riesco a decidermi, accidenti, a trovare le parole per rispondergli!”
    “Ma chi è?”
    “Non lo conosco, non so neanche chi sia o che faccia abbia o se tutto quello che mi ha detto di sé sia vero o un colossale imbroglio”
    “È un salto nel buio!”
    “Infatti. Sarei tentata di mollare tutto. Sai, a Lucia è successa quasi la stessa cosa, e ancora si lecca le ferite. Ma c’è qualcosa… un particolare, non so come spiegarti… un’intuizione, forse”.
    “Stai attenta!”
    “Volo AZ 1738, in partenza per Roma, cancello 6, imbarco immediato”. Mentre ascoltava distrattamente la voce metallica dell’annunciatrice, Emma si disse che poteva essere pazza o incosciente, ma non gliene importava niente. Stava andando a Roma per conoscere Pietro, e questo le bastava.
    L’appuntamento era più tardi, nel pomeriggio, così Emma quel poco di tempo che aveva lo impiegò nel miglior modo che conosceva: girare per la città e impadronirsi per qualche attimo di un’atmosfera, di una sensazione, di un odore che avrebbe conservato gelosamente per poi associarlo ad un ricordo.
Si trovò così in una grande chiesa barocca, vicino una piazza con delle colonne romane allo scoperto. Entrò e fu subito avvolta da un suono d’organo: intenso, solenne e struggente al tempo stesso.
    Girò lo sguardo tutt’intorno. Non riusciva a soffermarsi su un particolare che immediatamente la sua attenzione veniva irretita e catapultata in un’altra direzione, in mezzo a un trionfo di nuvole, putti, raggi dorati, marmi policromi…
    Se è vero che ogni stile architettonico comunica una propria visione del mondo e della vita, suscitando stati d’animo dei più diversi, Emma in quel momento si sentiva emozionata e confusa, ma intimamente convinta di sé e pronta ad affrontare qualsiasi cosa.
    In seguito avrebbe più volte ricordato quel giorno: i preparativi, la ricerca dell’ itinerario e del mezzo di cui servirsi, il districarsi in quel dedalo di viuzze polverose e un po’ solitarie, dove a stento giungeva l’eco del traffico, in lontananza.
    Via dell’Orso, piazza Borghese, al numero 85… c’era una libreria all’angolo, la libreria “Rovetti”. Era questa.
    Emma entrò quasi strisciando.
    “Mi appunterò un fiore rosso sulla scollatura, un garofano, ad esempio”.
    “Ed io recherò un guanto nella mano sinistra”.
    Durante le ultime conversazioni avevano riso entrambi esorcizzando così quel momento.
    “E se non mi piace?”. A volte la prima impressione può essere determinante. “Trovo una scusa, faccio finta che ho sbagliato e me ne vado…”
    “20,21,22,23…” Emma contava le pillole rimaste. Non riusciva a ricordare quante ne aveva prese, di valeriane tra ieri e l’altro ieri. In fondo voleva solo dormire. E dimenticare. In fretta. Naturale, a base di erbe, non tossico…
    Suonò il telefono.
    Era Silvia.
    “Come ti va?”
    Un mugugno fu più eloquente di qualsiasi risposta.
    “Ti chiamo dopo, sai, adesso ho solo bisogno di rilassarmi, di dormire un po’ ancora…
    “No, non va poi così male! Va bene, vengo, anzi telefono prima. Non so, domani, forse…”
    Il filo si aggrovigliava, così come i suoi pensieri, in quel momento.
    Un tonfo, improvviso e definitivo. Un precipitare inarrestabile in chissà quale inghiottitoio della coscienza. Si svegliò così, nel cuore della notte, con la bocca impastata, con la mente annichilita.
“U-no, du-e, tr-e…” L’orologio scandiva il tempo del suo risveglio.
    Meccanicamente si accese una sigaretta che era sul comodino. L’amaro sapore della nicotina le irritò la gola. A questo punto doveva alzarsi, le coperte erano diventate come macigni. Si guardò, meccanicamente, allo specchio. Non si piacque affatto, questa volta.
    Un episodio banale - in fondo - Emma si ripeteva che non era successo niente di grave, che chissà quante volte, a chissà quanta gente capita. Di essere piantata in un appuntamento come questo, al buio.
    La libreria era di quelle dove si può anche prendere un tè e un dolce, parlare o leggere. Emma si era guardata un po’ timorosa, ma aveva visto soltanto, in due tavolini un po’ distanti, una coppia che parlava fitto fitto e una donna non più tanto giovane immersa nella lettura di un libro, che distrattamente immergeva un biscotto nella sua bevanda.
    “Desidera prendere qualcosa?”
    Un giovane alto e barbuto, senza collo le si era avvicinato guardandola di traverso.
    Lei aveva scelto un tavolino di mezzo da dove si poteva vedere l’ingresso.
    Un quarto alle cinque. L’appuntamento era alle cinque.
    “Aspetto qualcuno, grazie, ordinerò dopo”
    “30,35,40,50 minuti…” Ormai era chiaro che non sarebbe più venuto nessuno all’appuntamento. Né Pietro né chi-diavolo-ne-so a quel maledetto appuntamento. Come aveva potuto cascarci così, come un’idiota’…
    Il locale, intanto, si era infoltito di gente, l’atmosfera era diventata più calda e accogliente.
    Una musica di sottofondo si mescolava al brusio, alle risate. Quei due accanto a lei continuavano a dialogare in un’intimità a dir poco imbarazzante.
    Emma si sforzava di darsi un contegno, ma era chiaro che ormai non rimaneva che andarsene.
    Si dileguò così, senza guardarsi intorno, felice di essere investita dall’aria gelida che la schiaffeggiò appena ebbe aperta la porta.
    “85,86,87,88,89…” Contare era più che mai d’obbligo, in questo momento. Per non pensare.
    Un’irrisolta. Una stupida marionetta che girava a vuoto. Il rumore dei suoi passi echeggiava sul selciato.
    Da sola. In una città lontana, che non era la sua, tra cose non sue.
    L’odore del caffè si era diffuso in tutta la casa. Il primo sorso la sorprese per la sua liquida pastosità. Si stiracchiò sul letto, scostando appena un po’ le coperte.
    Era ancora presto per alzarsi.
powered by Guido Scuderi
Estratto da “Corti di carta