Sofonisba e le sue sorelle
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Sofonisba Anguissola
La pittrice cremonese rinascimentale, antesignana e prototipo di donna libera e realizzata, che lasciò traccia di sé anche nella nostra isola.


Estro, talento, agiata provenienza, uniti ad un’abile ed oculata capacità manageriale del padre e non disgiunti da felici opportunità e concomitanze di elementi favorevoli, fanno di Sofonisba Anguissola un personaggio di punta della pittura a cavallo tra i secoli XVI e XVII. Era certamente raro che una donna in quel periodo godesse di un così vasto consenso nelle corti principesche, potesse così liberamente disporre della propria vita ed esercitare la pittura, arte per cui mostrava una spiccata propensione naturale che, unita ad un’accurata preparazione la fecero apprezzare dai maggiori artisti del tempo.

Scorrendo la biografia della pittrice, tutto appare “speciale” in lei, non comune e degno di nota. Era nata a Cremona tra il 1532 ed il 1535 (la data è incerta) che nel ducato di Milano sotto la dominazione spagnola era la seconda città per importanza e ricchezza. Il padre, Amilcare Anguissola aveva sposato in seconde nozze nel 1531 la benestante Bianca Bonzoni. Egli ricopriva un ruolo importante nella società cremonese in quanto faceva parte del consiglio dei Decurioni che governava la città per conto dell’impero spagnolo di Filippo II. Bianca aveva conoscenze altolocate ed i tempi erano maturi per il riconoscimento dei talenti femminili, ad iniziare dalle corti, dove si misero in luce.

Sofonisba era la primogenita di 7 fratelli, 6 femmine e 1 maschio. Elena, Lucia, Minerva, Europa ed Anna Maria si dimostrarono anch’esse abili disegnatrici e pittrici di buon livello, mentre non altrettanto ci risulta del fratello Asdrubale che vediamo ritratto insieme con il padre Amilcare e la sorella Minerva (1). La lungimiranza del padre, egli stesso amante dell’arte e disegnatore dilettante, fece sì che, superando i pregiudizi dei contemporanei non solo concesse alle figlie di studiare letteratura, pittura e musica, secondo quanto suggerito dagli umanisti più illuminati come Baldassarre Castiglione, ma svolgesse anche un’intensa opera promozionale, come testimoniano le lettere indirizzate al grande Michelangelo e conservate nella Biblioteca Laurenziana di Firenze.

Sofonisba mostrò subito passione per la pittura e sin da piccola seguì il padre che aveva il compito di scegliere gli artisti per decorare la chiesa di San Sigismondo. I genitori decisero che doveva andare a scuola di pittura, ma il pregiudizio che una fanciulla non potesse frequentare la bottega di un maestro come i maschi, fu ben presto superato perché anche la sorella Elena voleva apprendere l’arte e così entrambe andarono presso la casa del pittore Bernardo Campi, conosciuto proprio a San Sigismondo. Poi l’apprendistato continuò da Bernardino Gatti dalla cui pittura deriveranno evidenti echi della raffinata arte emiliana.

L’arte pittorica di quel secolo era incentrata soprattutto sulla ritrattistica e a questa corrente furono instradate le due sorelle, nella quale soprattutto eccelse Sofonisba che riuscì ad introdurre parecchi elementi di novità, trasformandola talvolta in pittura di genere. Partiamo infatti da uno dei suoi autoritratti: la fisionomia del volto è quella tipica, con grandi occhi sporgenti, pettinatura e abbigliamento austero e adatto ad una ragazza di buona famiglia che si presentava come una vergine acculturata e di buone maniere; (2) il collo è semicoperto dalla trina della camicia sottostante, mentre nella mano sinistra tiene un libretto aperto (probabilmente di preghiere, o un diario). Qui ci colpiscono non solo la somiglianza con l’originale: Vasari ebbe a dire nel 1556, dopo avere visto i ritratti della famiglia, che i volti dei personaggi sono “tanto ben fatti che pare che spirino e siano vivissimi” (3), ma anche qualcosa che accenna o fa riferimento al vissuto, alla storia del personaggio ritratto. Vi sono elementi che, come pezzi di un puzzle, aiutano a ricomporre la personalità del soggetto raffigurato: un medaglione, un libro aperto, un guanto, un gioiello, uno spadino, secondo l’approccio tipico della ritrattistica cinquecentesca, ma con un naturalismo diretto che presuppone anche la conoscenza della pittura bresciana del Moretto e di quella bergamasca del Moroni. (4) Notevoli soprattutto l’intensità degli sguardi e la capacità espressiva dei visi, sui quali Sofonisba si esercitò molto, come testimoniano vari disegni ritrovati, studiando in particolar modo, sulla scorta della teoria leonardesca dei moti dell’animo, il riso ed il pianto, fino ad allora poco considerati nell’ambito ritrattistico.

Il disegno di un bambino che piange perché morso da un granchio (5) non solo suscitò l’ammirazione di Michelangelo Buonarroti, che sosteneva che la giovane fanciulla avesse talento, ma fu forse fonte di ispirazione per il Caravaggio nel suo Ragazzo morso da un ramarro.

Grazie alle sue capacità ed alla promozione che ne seppe fare il padre, Sofonisba riuscì in breve tempo a farsi conoscere nelle corti italiane ed europee a cominciare da quella spagnola dove arrivò nel 1559, per il tramite del duca d’Alba e del duca di Sessa, presso cui aveva soggiornato a Milano. A Madrid conquistò subito il favore dei sovrani grazie ai ritratti che eseguì della regina Elisabetta di Valois prima (6) e dell’imperatore Filippo II (7) poi, entrambi al Prado di Madrid; il sovrano fu così impressionato dalla somiglianza di entrambi i dipinti da premiare la pittrice con una rendita annua di 200 scudi. Col tempo però Sofonisba seppe farsi apprezzare non solo per il talento artistico, ma anche per le doti umane, quelle doti che la spinsero a restare alla corte anche dopo la morte della regina per prendersi cura delle due figlie di lei (8). La benevolenza di Filippo II si spinse a tal punto che avrebbe voluto maritarla con un nobile spagnolo, ma Sofonisba si oppose recisamente preferendo invece un consorte siciliano, Fabrizio Moncada, fratello del viceré di Sicilia, che sposò nel 1573. Così la pittrice si stabilì a Paternò di cui Fabrizio era governatore in nome della cognata tutrice del principino Francesco. Il matrimonio purtroppo durò appena cinque anni a causa della morte prematura di Fabrizio, annegato presso Capri il 27 aprile 1578 nel corso di un’azione piratesca. Del marito non fu mai ritrovato il corpo, ma la pittrice cremonese volle lo stesso far dono alla cittadinanza di un suo dipinto, una pala d’altare per la chiesa dell’Annunziata a Paternò raffigurante la Madonna dell’Itria, cui il casato dei Moncada era molto devoto, con la Vergine ed il Bambino sopra una grande bara che rappresenta quella del marito (9)

L’intrepida vedova, però, non rimase sola a lungo perché appena un anno dopo, durante un viaggio via mare per Genova, conobbe il nobile Orazio Lomellini che sposò contro la volontà dei parenti. Visse tra Genova e Palermo continuando la sua opera di ritrattista per le famiglie aristocratiche della città ligure. È probabile, anche se non documentata ufficialmente, una sua permanenza a Torino, presso la corte sabauda, da cui ebbero felice scaturigine alcuni dipinti, come, ad esempio, La partita a tric trac che ritrae i piccoli duchi di Savoia (10).  Durante questo periodo genovese la pittrice si espresse anche in opere di carattere religioso, (cosa assai rara per lei) subendo l’influsso del pittore genovese Luca Cambiaso. Nascono così, tra le altre, La Sacra Famiglia (11) e la Sacra Famiglia con Sant’Anna e San Giovannino (12).

Il primo dipinto ha un’ambientazione boschereccia e raffigura un momento di riposo durante la fuga in Egitto. La Vergine porge dei fiori al Bambino che si gira verso di lei mentre gioca con la barba di San Giuseppe: Sofonisba riproduce fedelmente gli effetti atmosferici del cielo tempestoso e rende molto espressivi i volti. Anguissola è una “pittrice di anime”: riesce a “catturare” le sensazioni, i sentimenti, “i moti dell’animo fugaci e irripetibili” di ogni personaggio. Come abbiamo già ricordato, ella è molto attenta ai particolari: i riflessi di luce, gli sguardi, le piccole smorfie labiali; l’anima del soggetto è il vero centro focale della sua opera.

Trasferitasi col marito a Palermo, visse in Sicilia l’ultima parte della sua vita, dimostrando di essere legata alla nostra isola in modo tutt’altro che superficiale. Ormai ultranovantenne e cieca, ricevette nel 1624 la visita e l’omaggio ammirato di un pittore del calibro di Van Dick che, affascinato dei quadri che aveva visto a Genova, volle conoscerla e farne un ritratto. L’artista ebbe a dire: “Ho ricevuto maggiori lumi da una donna cieca che dallo studiare le opere dei più insigni maestri”

La storia dell’Anguissola ci conquista perché parla di una donna moderna, indipendente e fuori da ogni schema convenzionale, una donna estroversa, socievole, a suo agio con persone di tutte le età e di qualsiasi ceto sociale.
Il 16 novembre 1625, la grande artista venne sepolta nella chiesa di S. Giorgio, a Palermo. Non c’è più traccia della sua tomba, ma è rimasta una lapide posta dal marito nel centenario della sua nascita. La lapide descrive perfettamente Sofonisba :

Alla moglie Sofonisba, del nobile casato degli Anguissola, posta tra le donne illustri del modo per la bellezza straordinarie doti di natura, e tanto insigne nel ritrarre le immagini umane che nessuno del suo tempo poté esserle pari, Orazio Lomellini, colpito da immenso dolore, pose questo estremo segno di onore, esiguo per tale donna, ma il massimo per i comuni mortali”.

1. Ritratto di famiglia
2. Autoritratto
3. La partita a scacchi
4. Particolare del ritratto della duchessa Giovanna D'Austria
5. Fanciullo morso da un granchio
6. Ritratto di Elisabetta di Valois
La lapide sulla tomba di Sofonisba Anguissola
nella chiesa di San Giorgio a Palermo
7. Ritratto di Filippo II
8. Ritratto delle infante Isabella e Catilina
12. Sacra famiglia con sant'Anna e san Giovannino
11. Sacra famiglia
10. La partita a tric trac
9. Santa Maria dell'Itria