NOTE

1) Pierre Mortier (Leida 1661-Amsterdam 1711) particolare della Mappa di Catania. L’attribuzione è desunta da: Adolfo Longhitano Santa Maria di Nuovaluce a Catania Edizioni Arca 2003, pag.24

2) I certosini hanno posseduto anche una grancia in provincia di Messina. Sull’argine destro del torrente, alla periferia est di Giampilieri, nella suddetta provincia, si trova la piccola Chiesa di S.Lucia o S.Filippo in Campagna. Proseguendo lungo la strada di campagna che conduce al castello di Scaletta, sulla destra, si può osservare ciò che rimane del complesso religioso dei Padri Certosini.

3) Bruno di Colonia (Colonia, 1030 – Serra San Bruno, 6 ottobre 1101) è stato un monaco cristiano tedesco, fondatore dell’Ordine dei Certosini. Viene chiamato anche Brunone (forma latinizzata) e viene definito a volte, ma impropriamente, abate o sacerdote. Dopo vari incarichi ottenuti dalla chiesa francese, sentì sorgere dentro di sé una prepotente vocazione religiosa che si esprimeva nella ricerca del silenzio e della meditazione appartata dai clamori del mondo. Fondò quindi il primo monastero nell’estate dell’anno 1084, in una zona montana e boschiva, a 1175 m di altitudine, nel cuore del massiccio che all’epoca si chiamava «Cartusia» (donde il nome italiano di «Certosa», nel Delfinato. Chiamato a Roma dal papa Urbano II, dovette lasciare l’eremo con grande rimpianto, non trovandosi a suo agio nell’ambiente della corte pontificia dell’epoca. Quando Urbano II fuggì da Roma, in seguito all’invasione dei territori pontifici da parte dell’imperatore tedesco Enrico IV ed all’elezione dell’ antipapa Guiberto, Bruno si trasferì con la corte papale nell’Italia meridionale. Su proposta del papa Urbano i canonici di Reggio Calabria lo elessero arcivescovo, ma egli declinò la mitra per amore della sua vocazione contemplativa e con il desiderio di ritrovare al più presto la solitudine. In seguito chiese e ottenne il permesso di appartarsi negli stati normanni, recentemente conquistati dal conte Ruggero d’Altavilla, raggiungendo così il suo scopo Questi gli offrì un territorio nella località chiamata Torre, l’attuale Serra San Bruno, a 790 metri di altitudine, nell’attuale Calabria centro-meridionale.
Nel 1091 Bruno fondò l’eremo di Santa Maria, mentre a poco meno di 2 km più a valle - ove sorge l’attuale certosa - fondava per i fratelli conversi il monastero di Santo Stefano.
Nel giugno 1101 morì il conte Ruggero, assistito da san Bruno. Poco tempo dopo, la domenica 6 ottobre dello stesso anno, morì pure Bruno, circondato dai confratelli accorsi dalle case dipendenti da Santa Maria del Bosco

4) Sulla presenza degli Alagona in Sicilia, sulle intricate vicende politiche che agitarono la nostra isola dopo la guerra del Vespro, e sulle conseguenze dello Scisma d’Occidente rimandiamo alle documentatissime pagine di Adolfo Longhitano, op. cit. pag 18 e segg.

5) “I certosini sono fuori dal nostro mondo, perché noi pensiamo che il mondo sia nostro e convinti come siamo che la trascendenza non ci riguardi, continuiamo a distinguerla dall’immanenza, siamo dei noiosi professorini di filosofia pratica o, al massimo della ribellione, di astruserie zen di cui non capiamo nulla se non in quale punti cardinali ficcare il nostro cranio. Non ci rendiamo conto che spingiamo la vita verso il basso, che non sappiamo elevarci, perché ci hanno cantato che la libertà è partecipazione, mentre, ammesso che esista, la libertà è anche, soprattutto, un tendere verso l’alto: lì sta l’amore per l’amore, dal quale non possiamo prescindere per amare chi sta più sotto, subito sopra la terra” Questo, in sintesi, il mandato spirituale dei padri certosini, dettato dal suo fondatore, qui visto in netta antitesi con il pensiero attuale.

6) Il nuovo monastero, dovendo accogliere monaci di vita eremitica, doveva essere costruito secondo una particolare struttura architettonica: un corpo centrale (la chiesa) e le celle, nelle quali i monaci vivevano solitari per pregare, consumare i pasti e lavorare A. Longhitano, op. cit. pag.26

7) Guglielmo Policastro - “Catania prima del 1693” ristampa a cura della Biblioteca regionale del 2002: “ …i cassinesi di sant’Agata vi rimasero fino al 1514; quindi fu commenda di secolari per circa 125 anni; poi passò ai teresiani e dal 1650 agli agostiniani scalzi.

8) Ecco l’effige della Madonna, opera di anonimo, ora conservata presso il Museo Diocesano di Catania. La datazione parla di XVI secolo; probabilmente l’opera è un rifacimento dell’icona bizantina di cui ci parla la leggenda. Sull’icona in questione è interessante leggere il capitolo di Carmelo Signorello: L’icona di santa Maria di Nuovaluce L’Haghiosoritissa di Catania, contenuto nella già citata opera del Longhitano, pagg.62-65

9) G. Policastro, op. cit. p.44. Aggiungiamo che questa chiesa riedificata, oggi non esiste più, essendo stata abbattuta nel 1921 (1926 secondo il Longhitano) per fare posto al palazzo dell’Intendenza di Finanza, di fronte al teatro Massimo Bellini. In questa chiesa, di mirabile fattura era presente l’icona della Madonna di Nuovaluce che oggi si trova, come abbiamo già detto, al Museo Diocesano. Dal 1988 nell’omonima chiesa ricostruita nel quartiere di Monte Po, vi è una copia che viene portata in processione rionale, facendo rinverdire l’antica tradizione.

10) La lapide marmorea è conservata al museo civico

11) “Un mulino, un feudo chiamato “lu blancu” altro della bicocca, un orto, parecchi oliveti, il giardino di S. Opulo, censi e fitti di casere onze 8 in oro annue, terraggi di frumenti, orzo ed altri legumi, un altro feudo vicino il fiume di Catania, una pescheria di un certo fiume, un “jacum” detto “traversia”. Le vigne del monastero producevano 300 salme di vino, possedevano pecore, vacche, giumenti, solo per uso del monastero, nel quale vi erano monaci letterati e professi in numero 30 e 18 domestici. Avevano muli e cavalli per uso del monastero. Ed in esso si dava anche ospitalità a qualche persona della città. Fra i numerosi privilegi il monastero riceveva ogni anno un cantaro di anguille e mezzo cantaro di tinchie, sopra il biviero di Lentini” (G. Policastro, op. cit. p. 45-46)

12) Parte sommitale dell’abbazia      -     13) Probabile parete originale trecentesca     -     14) Quel che resta del tetto     -     15) Pietra di basamento dell’antico portale della chiesa

16) Pozzo trecentesco originario detto anche “saraceno”     -     17) Apertura scavata in epoca successiva     -     18) Resti delle cellette dei monaci, spazio successivamente adibito a stalla

19) Acquasantiera di marmo. Sulla sinistra si nota lo stemma degli Alagona (Museo civico di Catania).

20) Fronte di sarcofago proveniente dalla certosa, raffigurante la Vergine al centro con il bambino seduta sul trono. In alto lo stemma degli Alagona. (Museo civico di Catania).

                                                                                                          (
Le foto n.12,13, 14,15,16, 17 e 18, sono tratte dal filmato:”La certosa abbandonata di Catania” di Iorga Prato pubblicato in “Meridionews” il 17 agosto 2015)
La certosa abbandonata
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